San Benedetto da San Fratello detto il Moro: La Vita


San Benedetto da San Fratello - Uomo senza frontiere venerato in tutto il mondo"Comitato

Sito web a cura del "Comitato festeggiamenti San Benedetto il Moro" San Fratello (ME).

Bolla di canonizzazione

DALLA SCHIAVITÙ ALLA SANTITÀ
La bolla di canonizzazione di
San Benedetto il Moro

Introduzione e traduzione di Pietro Sorci  
Frati Minori di Sicilia
Palermo 2007

La canonizzazione di San Benedetto il Moro

Come afferma il concilio Vaticano secondo nella Costituzione sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nei santi la Chiesa celebra anzitutto il mistero pasquale di Cristo in essi compiuto, nella loro celebrazione cioè fa memoria delle meraviglie operate da Dio nella loro vita e nella loro morte in virtù della morte e risurrezione di Cristo, unica fonte di salvezza e di santità, per l’azione dello Spirito Santo, artefice di ogni santificazione, rende grazie e implora da lui che continui ad operare nei fedeli con la stessa bontà e potenza manifestata nei santi, sino a quando il corpo di Cristo che è la Chiesa sarà giunto alla pienezza della sua maturità.
Il secondo luogo nella celebrazione dei santi la Chiesa contempla esempi di vita cristiana che spingono e incoraggiano i fedeli ad ascoltare docilmente la parola di Dio e a seguire fedelmente Cristo come discepoli, emulando la loro carità nei diversi stati e nelle varie situazioni di vita. Infine, riconosce in essi amici alla cui fraterna intercessione fiduciosamente affidarsi.
Un tale culto è riservato ai santi canonizzati, iscritti cioè nel canone o elenco dei santi riconosciuti dalla Chiesa attraverso l’intervento di chi ha il compito e la missione di garantirne la retta fede e l’unità nella carità.
La santità, infatti, per i cristiani è dono di Dio, il solo santo, il quale per mezzo di Cristo, il Santo di Dio, per l’azione dello Spirito Santo, rende i credenti partecipi della sua santità, ossia della sua giustizia, bontà, misericordia, e li rende capaci di vivere in santità e giustizia, ascoltando la sua parola, seguendolo e diventando ogni giorno più conformi a lui, sino a divenire sua immagine e somiglianza. Coloro che hanno raggiunto questo traguardo e sono accreditati da Dio con il dono dei miracoli, la Chiesa li pone sul candelabro perché facciano luce a tutti quelli che sono nella casa, ossia li canonizza o proclama ufficialmente santi, degni di essere imitati e in grado di avvalorare la preghiera dei loro fratelli in virtù della loro particolare amicizia con Dio.
La canonizzazione è un atto, o sentenza definitiva, con la quale il sommo pontefice, in forza della sua autorità apostolica che gli deriva dalla promessa di Cristo, in quanto successore di Pietro e capo del collegio episcopale, decreta che un servo di Dio, già annoverato tra i beati, venga inserito nel catalogo o canone dei santi e si veneri con il culto dovuto a tutti i canonizzati.
Mentre nella beatificazione il culto è limitato ad una città, diocesi, regione, o famiglia religiosa, ed è semplicemente permesso, nella canonizzazione il culto è esteso a tutto il mondo cattolico ed è comandato. In altre parole, nella canonizzazione viene emessa una sentenza ultima e definitiva dell’autorità suprema sulla santità di un servo di Dio, che impone il culto dovuto ai santi nella Chiesa universale.
Nei primi secoli della Chiesa la canonizzazione avveniva per il riconoscimento, da parte della comunità cristiana di una diocesi o di una città, del martirio di un cristiano affrontato per la fede in Cristo, o della santità della vita nell’amore di Dio e del prossimo a servizio della Chiesa vissuto in maniera eroica. Non esisteva pertanto differenza tra beatificazione e canonizzazione.
I primi santi riconosciuti tali e onorati con culto pubblico furono i martiri che, come santo Stefano e gli apostoli, avevano testimoniato la loro fede e il loro amore a Cristo sino allo spargimento del sangue. Ad essi furono accostati molto presto i “confessori”, fedeli che avevano reso testimonianza della loro fede dinanzi ai tribunali ed avevano subito carcere e torture o erano stati condannati ai lavori forzati, ma erano scampati alla morte: è il caso di sant’Eusebio di Vercelli, di sant’Atanasio, di san Giovanni I papa. Seguirono i  monaci come sant’Antonio abate, che per amore di Cristo fuggendo le allettative del mondo, avevano trascorso tutta la vita in solitudine nelle privazioni e nella preghiera per i loro fratelli. Fu poi la volta dei vescovi, come san Martino, sant’Ambrogio, sant’Agostino, san Gregorio Magno, alcuni dei quali erano stati prima monaci, i quali, senza risparmiarsi, avevano speso tutta la vita per la Chiesa affidata alla loro cura con l’esempio, la predicazione, la saggia guida pastorale, la dedizione ai poveri e ai sofferenti. Vennero infine le santi vergini come Scolatica, sorella di Benedetto da Norcia, e Macrina, sorella di san Basilio – alcune delle quali avevano affrontato anche il martirio – che, rinunziando per Cristo alle legittime gioie del matrimonio e della famiglia, avevano dedicato la propria vita totalmente a lui sommamente amato.
Tra questi santi, se si eccettuano ovviamente le vergini,  parecchi erano vissuti nel matrimonio, come Aquila e Priscilla dei quali si parla nelle lettere di san Paolo, san Paolino, santa Felicita, santa Monica madre del grande Agostino.
All’inizio del secolo IV egli poteva scrivere che il bel giardino del Signore, ossia la Chiesa, possiede non soltanto le rose dei martiri, ma anche i gigli delle vergini, l’edera di quelli che vivono nel matrimonio e le viole delle vedove. Nessuna categoria di persone deve dubitare della propria chiamata alla santità (Sermone 304).
Verso la fine del primo millennio, dapprima occasionalmente, per conferire maggiore autorità all’atto della canonizzazione e più grande prestigio al santo, successivamente in maniera sempre più sistematica, la canonizzazione fu riservata al vescovo di Roma, sino a quando, per evitare abusi, il papa avocò a sé un tale atto. Il primo santo canonizzato dal papa fu sant’Uldarico vescovo di Augusta morto nel 973 e canonizzato dal papa Giovanni XV nel 993.
Una svolta decisiva nel procedimento delle canonizzazioni si ebbe con l’istituzione della Congregazione dei Riti da parte del papa Sisto V nel 1588, alla quale fu affidata tutta la procedura delle cause dei santi, e soprattutto con il pontificato di Urbano VIII (623-644) che regolamentò tutta la materia. Egli, per porre fine agli abusi che si verificavano e al prolificare incontrollato della devozione popolare dettata talvolta da fanatismo – causa di scandalo per molti fedeli e soprattutto per i membri di altre confessioni cristiane – con una serie di costituzioni, raccolte insieme nel 1642 in un volume dal titolo “Decreti da osservarsi nelle canonizzazioni e beatificazioni dei santi”, impose una disciplina rigorosa per la prassi delle canonizzazioni. Proibì qualsiasi forma di culto prima del pronunciamento ufficiale dell’autorità della Chiesa, anzi stabilì che l’esistenza di un tale culto costituiva un impedimento ad intraprendere la procedura canonica. Restavano così proibiti gli scritti che narravano il martirio, la vita eroica ed eventuali miracoli di servi di Dio che potevano contribuire alla diffusione incontrollata del loro culto.
Erano eccettuati i casi in cui il culto si era formato con il consenso comune della Chiesa o con il consenso tacito e immemorabile dell’autorità della Sede Apostolica o del vescovo, sulla base della fama di santità. Urbano VIII stabilì inoltre che non si poteva procedere alla canonizzazione prima di 50 anni dalla morte del servo di Dio, e senza espresso permesso del papa.
Tale normativa oltre a rallentare i processi di canonizzazione, portò alla netta distinzione tra questa e la beatificazione, intesa, quest’ultima, all’inizio come situazione provvisoria quando, per circostanze varie non era possibile procedere immediatamente alla canonizzazione già decisa, oppure perché intorno a un servo di Dio si era sviluppato rapidamente un culto popolare mentre la causa di canonizzazione stava per avviarsi, e successivamente stabilita come fase di passaggio obbligatorio previa alla canonizzazione.
La procedura per la canonizzazione di Benedetto il Moro, morto il quattro aprile del 1589, era stata avviata subito dopo la sua morte, con autorità ordinaria, ossia in sede diocesana, sin dal 1594, e ripresa nel 1622. Gli atti, inviati a Roma, furono approvati dalla Sede apostolica che autorizzò i processi con autorità apostolica: a Palermo, dove il processo si tenne nel 1625 con l’escussione di 101 testimoni, e a San Fratello, in cui i testimoni furono 77. Anche di questi processi gli atti vennero inviati a Roma. Ma a questo punto il processo si interruppe, bloccato dalla normativa di Urbano VIII sopraggiunta proprio in quegli anni.
In verità ciò non sarebbe stato necessario, rientrando il caso di Benedetto nell’eccezione prevista dagli stessi decreti di Urbano VIII.
Il popolo, comunque, con la tolleranza, e talvolta con l’incoraggiamento, dei vescovi – che vedevano nella devozione verso Benedetto un valido strumento di evangelizzazione – continuò a venerare Benedetto come santo. Il ventiquattro aprile 1652 il Senato Palermitano anzi lo proclamò compatrono e intercessore della città, impegnandosi a recarsi ogni anno nell’anniversario della sua morte in pellegrinaggio al suo sepolcro portando quatto grossi ceri.
Il suo culto si diffuse rapidamente in tutta la Sicilia: a Messina, Milazzo, Trapani, Siracusa, Agrigento, Caltagirone, Piazza Armerina, in Spagna: a Granada, Cordoba, Cadice, Arces, Xenes, Valencia, Valladolid, in Portogallo, e in molti paesi dell’America Latina: Messico, Perù, Brasile, Cile, Uruguai, Argentina, soprattutto presso le popolazione nere che riconoscevano in lui un simbolo e una speranza di riscatto.
Per le insistenti richieste del popolo, dei vescovi, del Senato palermitano e dell’arcivescovo di Palermo, dei reali di Spagna e soprattutto dei Frati Minori, il processo fu ripreso nel 1713, un altro processo fu celebrato nel 1735, e il quindici maggio 1743 il papa Benedetto XIV proclamò Benedetto beato.
Negli anni successivi continuarono le richieste della canonizzazione, sicché nel 1777 fu riconosciuta dalla Congregazione dei Riti l’eroicità delle sue virtù, nel 1790 i due miracoli richiesti e finalmente il ventiquattro maggio 1807, solennità della santissima Trinità, il papa Pio VII con la Bolla  Civitatem Sanctam proclamò Benedetto santo insieme a Francesco Caracciolo, che era morto nel 1608 e era stato beatificato nel 1770, Angela Merici, terziaria francescana e fondatrice delle Orsoline, morta nel 1540 e beatificata nel 1768, Coletta Boilet, monaca clarissa morta nel 1447 e beatificata nel 1740, e Giacinta Marescotti, anch’essa monaca clarissa morta nel 1640 e beatificata nel 1726.
Nella Bolla il papa riassume a grandi linee, ma con grande precisione, la vita del santo, ricorda la sua popolarità, richiama le complesse fasi del lungo processo per la canonizzazione e raccomanda se stesso e la Chiesa affidata alla sua guida pastorale, nelle difficoltà e tribolazioni dell’ora presente, all’intercessione del santo, con la speranza che egli, che è ormai sicuro della propria, interceda per la nostra salvezza.

Qui viene pubblicato in traduzione italiana il testo della Bolla, ripreso dal Bullarium Franciscanum (VII/1, Tipografia Aldina, Prato 1850, pp. 934-941), con i numeri e i titoli dei paragrafi aggiunti dall’editore al fine di facilitarne la lettura, con la stessa fiducia e speranza manifestata dall’Autore: che nell’ora presente, in cui quanto mai attuali appaiono la figura e la testimonianza di Benedetto e il messaggio di cui egli è portatore e simbolo, il suo esempio e la sua intercessione siano di incoraggiamento e di valido aiuto a quanti sperano e operano per un mondo che veda debellata ogni forma di schiavitù e discriminazione a causa della razza, del colore della pelle, del sesso, della cultura e della religione,  e nel quale tutti gli uomini siano liberi e tutti i popoli si riconoscano fratelli.

Convento santa Maria di Gesù
Palermo 24 maggio 2007
Frate Pietro Sorci


BOLLA DI CANONIZZAZIONE
Pio vescovo
Servo dei servi di Dio

A perpetua memoria

1) Giovanni Apostolo ed Evangelista, nella sua Apocalisse, contemplando la città santa, la nuova Gerusalemme, vide in essa una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, di tutte le genti, tribù, popoli e lingue, in piedi davanti al Trono di Dio e al cospetto dell'Agnello. Da questa constatazione appa­re evidente la meravigliosa bontà di Dio e nostro Salvatore il quale, volen­do che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza del­la verità, chiama tutti alla fede, non respinge nessuno e, nella sua imparzialità, accoglie tutti quelli che vengono a lui, qua­lunque sia la loro provenienza, colmando di doni tutti coloro che lo invocano. Perciò, nascendo bambino a Betlem, volle manifestarsi a tutte le genti ed essere adorato da loro. Poi, avuta la promessa dall’Eterno Padre che avrebbe avuto in eredità tutte le genti e il dominio di tutta la terra, inviò gli apostoli a predicare il vangelo a ogni creatura e, con una stra­ordinaria chiamata, fece di Paolo l’apostolo e il dottore delle genti, affin­ché l’offerta dei pagani fosse gradita e santificata nello Spirito Santo.

Origine del Beato

2) Da quella innumerevole folla di popoli resi giusti, Dio scelse alcuni e li rese illustri per il  particolare fulgore della santità, che li fa sedere  nei cieli con i principi del suo popolo e li pone come su di un candelabro, perché facciano luce a tutti quelli che sono nella casa e che ancora sono pellegrini nella Gerusalemme terrestre, li spingano con il loro esempio a intraprendere il difficile cammino della virtù e li aiutino con il loro patrocinio.
Della stessa stirpe degli Etiopi da cui era nato l’eu­nuco funzionario di Candace, regina degli etiopi, che, come tramandano gli Atti degli Apostoli, per uno straordinario prodigio fu battezzato dall'apostolo Filippo, trasse la sua origine il beato Benedet­to da San  Fratello. Il Signore riversò in lui con tanta abbondanza le ricchezze della sua bontà, che colmo di eccel­se virtù e di celesti carismi, nei giorni della sua santa vita, fu per tutti og­getto di ammirazione e di esempio. Fu anche chiaro in lui, e in modo meraviglioso, che Dio resiste ai superbi e dona grazia agli umili, e sceglie coloro che sono deboli agli occhi del mondo per confondere i forti. Egli innalzò al vertice della perfezione e della santità Benedetto, nato in una regione umile e disprezzata: in lui, privo di cultura e analfabeta, infuse la scienza dei santi, tanto adornò con do­ni celesti lui che cercava di evitare con ogni cura la vista e le lodi degli uomini, che la fama della sua santità si diffuse tra i popoli e le nazioni.

La fama della sua santità

3) In verità, come la sua vita si segnalò per le straordinarie vir­tù e meriti, così la sua morte rifulse per i molti prodigi e per tutti quei se­gni che dimostrano chiaramente che egli è stato accolto nei cieli con i santi del Signore e ha ricevuto l'eterna ricompensa.
Avvenne quindi che colui del quale Dio si era degnato di manifestare a tutti la san­tità e la gloria per mezzo di miracoli ottenuti per la sua intercessione, fosse in breve tempo onorato con culto pubblico in molti luoghi.
Affinché dunque Dio, che, nella sua bontà e miseri­cordia, solo, compie cose grandi, sia sempre più glorificato nei suoi santi, compiuto già da tempo l'esame sul culto pubblico a lui tributato, sullo splendore delle sue virtù e sulla ve­ridicità dei suoi miracoli, essendosi tutto svolto come è prescritto dalla consuetudine delle costituzioni apostoliche, Noi preposti al governo della Chiesa Cattolica, non per meriti personali, ma per misericordia di Dio, dedicando tutti i nostri sforzi e le nostre cure soprattutto alla promozione del culto divino e all'accrescimen­to della pietà dei fedeli, con il potere che ci proviene dalla pienez­za della nostra apostolica autorità, abbiamo deciso di conferi­re al beato Benedetto gli onori propri della venerazione, confidan­do in Dio con salda speranza, che colui che già è sicuro della sua salvezza, si preoccupi con sollecitudine anche della nostra, pre­gando la divina clemenza di far convergere tutti i popoli in uno solo e di far conoscere a tutte le genti che non esiste altro Dio tran­ne il nostro.

Vita e costumi dello stesso Beato

4) Nella città di San Fratello, diocesi di Messina, in Sicilia, circa l'anno 1524, nacque Benedetto, comunemente soprannominato "il Moro” per la sua origine e per il colore scuro della sua pelle:  ebbe infatti genitori di origine etiopi e schiavi di un uomo ricco, tuttavia cattolici e segnalati per la loro stra­ordinaria pietà.
Il padrone aveva promesso di dare la libertà al primo loro fi­glio. Perciò, quando da loro nacque il primo figlio, Benedetto, que­sti divenne libero sin dalla nascita; educato, poi, santamente e fornito d'indole nobile, appena fanciullo mostrò chi e quanto grande sarebbe stato col tempo.
Per nulla attratto dai giochi dell’infanzia, aspirava nel suo ani­mo solo a coltivare la pietà, dedito soprattutto al culto della Ver­gine Madre di Dio. Appena gli fu possibile per l'età, cominciò a nutrirsi al celeste convito e contemporaneamente a tormentare il suo corpo con digiuni, cilici e flagelli.
A circa venti anni abbracciò un più austero modo di vivere e, per impulso divino, fu chiamato a condurre una vita solitaria da Girolamo Lanza, uomo nobile e pio. Questi, già seguace della Re­gola di San Francesco, ottenuta facoltà dalla Sede Apostolica, con al­tri compagni animati dallo stesso proposito, aveva preso come quarto voto quello della perpetua astinenza quaresimale, di tre digiuni la settima­na e di condurre vita eremitica. Benedetto, venduti il paio di buoi da cui traeva il sostentamento e distribuitone il ricavato tra i pove­ri, abbracciò quel tenore di vita.

La professione dei voti emessi con l'autorizzazione della sede apostolica
e delle astinenze praticate nell'eremo

5) Benedetto, accolto sotto la disciplina dello stesso fra Giro­lamo nell'eremo di Santa Domenica presso Caronia, che dista dalla città di San Fratello 4 o 5 miglia, trascorso il periodo di prova, vi pronunciò i voti solenni, per concessione della Sede apostolica. In quella condizione di vita si impegnò a coltivare tutte le virtù, a tal punto che in breve tempo colmo di esse, sembrò aver superato tutti quelli che si dedicavano alla stessa disciplina. Osservava digiuni quotidiani talmente  rigidi, che astenendosi sempre dal vino, mangiava una volta al giorno quel tanto di pane e di erba che gli consentiva in qualche modo di rimanere in vita, senza allontanare la fame.
Aggiunse incredibili tormenti fisici a cruente fustigazioni e crudelissimi cilici: dormiva poco, sdraiato a terra; era così de­dito alla meditazione delle cose divine che trascorreva in pre­ghiera quasi tutti i giorni e le notti.
Quando cominciò, a poco a poco, a essere conosciuta la virtù di questi eremiti, e soprattutto di Benedetto, di cui lo stesso Dio rendeva manifesta la santità con molti prodigi, per evitare l’accorrere degli uomini e il radunarsi della folla, tut­ti insieme si trasferirono con sempre maggiore frequenza di eremo in eremo, e costruirono piccoli tuguri agrestri, ora nelle scomodissi­me grotte della Mancusa, ora sull’alto e selvaggio monte San Pellegrino nei pressi di Palermo, ora in altre remote località. Dap­pertutto aumentava la fama di santità nella quale Benedetto si distingueva non solo tra gli estranei, ma anche tra i confratelli, i quali, dopo la morte di fra Girolamo Lanza, lo giudicarono, più di tutti gli altri, degno di succedergli .
Ventidue anni dopo da quando Benedetto era entrato nella vita eremitica e aveva iniziato a condurre una vita in tutto perfetta,  Pio IV, di felice memoria, nostro Predecessore, ordinò che quegli uomini pii, lasciata la vita eremitica, sciolti dal quarto voto del cibo quaresimale e del digiuno tre volte la settimana, abbracciassero una delle famiglie religiose approvate.
Tutti subito ubbidirono. Benedetto già pensava di entrare a far parte del sacro Ordine dei Cappuccini, ma mentre nella cattedrale di Palermo, pregava Dio di mostrargli ciò che dovesse fa­re, per tre volte ricevette un segnale celeste, da cui capì chiara­mente di essere chiamato al sacro Ordine dei Frati Minori di San Francesco.

La vita praticata nel convento

6) Accolto dunque nel convento palermitano di Santa Maria di Ge­sù tra i laici di quell'Ordine, e recatosi non molto tempo dopo, per obbedienza, nel convento di Sant’Anna in Giuliana, quivi rimase tre an­ni conducendo vita nascosta e solitaria, che poco differiva dal prece­dente modo di vivere. Richiamato a Palermo, vi trascorse tutto il re­sto della vita.
Anche se aveva cambiato l’Ordine religioso ed era venuto dall'eremo in una città popolosa, tuttavia mantenne sino alla morte quella norma di vi­ta che sin dall'inizio aveva abbracciato. Il suo cibo fu sem­pre quello quaresimale, molto parco, povero, mol­to spesso solo pane. Non si tolse mai quel pungente cilicio che a suo tempo aveva indossato; brevissimo era il tempo concesso al riposo del corpo, per lo più a ter­ra; molto e faticoso il lavoro; rozza e logora la tunica; il corpo afflit­to da flagelli con piaghe spesso sanguinanti e altre volontarie macerazioni della carne. Pregava e meditava sempre, senza in­terruzione, anche quando viaggiava o lavorava. Preso dal desiderio dell'antica vita eremitica, dedito soprattutto alla meditazione della passione del Signore, per quanto poteva, evitava la compagnia, parlava raramente, e solo di argomenti celesti, sui quali si intratteneva con tanto ardore di carità che talora era rapito in meravigliose estasi.

La povertà evangelica, l’obbedienza e la verginale purezza
conservate sino alla fine della vita

7) Severo custode della purezza, modesto in tutto il suo portamento, a nessuno porgeva le mani a baciare, anzi le teneva sempre coperte dalla tunica perché non fossero mai viste nude. Conservò fino alla fine il verginale fiore della pudicizia e da tutti era chiamato angelo in carne. Osservò con scrupolo la povertà evangelica, alla quale esortava vivamente i suoi compagni. Un pic­colo sacco di paglia, una croce tracciata con il carbone su una pa­rete, una o due immagini di carta della Vergine Maria e dei Santi: tale era tutta la suppellettile della sua cella. Quando era in viaggio, non portava mai bisaccia né provviste e con fermezza ri­fiutava i piccoli doni che gli venivano offerti spontaneamente. Si era talmente sottomesso alla volontà dei suoi superiori che non faceva nulla di sua iniziativa, ma tutto secondo la loro volontà, e a un loro cenno ubbidiva con prontezza e sollecitudine. Quando era chiamato dall’obbedienza, interrotta la preghiera o qualsiasi al­tra occupazione, si affrettava ad ascoltare persone di qualsiasi condizione che in gran numero spesso desideravano parlargli.
Nella sua ultima malattia, aderendo al volere del medico e del superiore, di buon grado prese le medicine prescritte, pur sapendo, per divina ispirazione, che non gli sarebbero state di nessun giovamento.
Paziente, doci­le, tranquillo in ogni circostanza della vita, non si lasciò mai tur­bare né dalla malattia e dalle altre avversità, né dalle tentazioni del demonio alle quali era esposto, né dagli oltraggi degli uomini con i quali veniva insultato. Era talmente preparato nel suo animo a tutti gli eventi della vita che volgeva il suo sguardo solo a Dio nel quale riponeva ogni speranza.

Si distinse in modo particolare nell’amore verso Dio

8) Fra tutte le altre virtù, rifulse in Benedetto specialmente uno straordinario amore verso Dio: egli non desiderava niente altro se non considerare e contemplare le realtà celesti e con ogni scru­polo evitare qualsiasi offesa a Dio, anche la più piccola. Spes­so, quasi ogni giorno, si accostava ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia: lunga era la preparazione al banchetto divino, più lungo ancora il ringrazia­mento dopo averlo gustato. Aveva una pietà tanto ardente che spes­so, circonfuso da una luce celeste, illuminava tutta la chiesa e a lungo rimaneva immobile, rapito in estasi.
Da qui derivava la sua ardente carità verso il prossimo, del qua­le, senza escludere nessuno,  desiderava ardentemente l'eterna salvezza e cercava di ottenerla mortifican­do il proprio corpo e pregando assiduamente. Con affabilità e prontezza Benedetto riceveva tutti quelli che andavano da lui per chieder­gli consiglio, anche quando era ammalato, e a ciascuno elargiva op­portuni consigli e rimedi. Inoltre spesso visitava i carcerati e gli infermi, offrendo loro tutti i servizi e le opere di carità, fornendo anche qualche aiuto ed esortandoli alla pazienza e a riporre in Dio la propria speranza. Aveva la stessa disposizione d'animo e lo stesso zelo verso i religiosi ospiti, e specialmente verso i suoi confratelli, ai qua­li offriva ogni servizio. Il medesimo amore e la medesima misericordia aveva verso i bisognosi ai quali destinava la refezione frutto della sua astinenza e del suo digiuno. Quando egli stesso fu eletto superiore del convento di Palermo, null’altro gli premeva maggiormente che il portinaio non respingesse alcun povero.

La sua sapienza e la sua virtù nel compiere  prodigi

9) A questa mirabile perfezione e santità di vita si aggiunsero i doni celesti: in primo luogo una straordinaria sapienza infusagli da Dio, per la quale Benedetto, uomo per altro anche analfabeta, era in grado di discutere con tanta proprietà sui pro­fondi misteri della fede e di interpretare con precisione i più difficili passi dei testi sacri, da suscitare l’ammirazione persino dei più dot­ti teologi; e i confratelli, udendolo, credevano che non fosse lui a parlare, ma lo Spirito Santo per mezzo suo. Talvolta riuscì a scru­tare i segreti più profondi del cuore, spesso presagì il futuro,  previde an­che la data della sua morte e la scarsa quantità di popolo che sarebbe accorsa ai suoi funerali.
Il servo del Signore già era famoso per il dono dei miracoli mentre dimorava nel romitorio,  molto di più si distinse quando era religioso laico della più stretta osservanza di San Francesco. Molti, fortificati da lui con il segno della cro­ce o  unti con l'olio della lampada accesa davanti all'altare della Vergine Maria, o raccomandati a Dio dalle sue pre­ghiere, si riprendevano subito da gravissime e in­curabili malattie. Soccorrendo i bisognosi non di rado faceva crescere la quantità dei cibi; talora, per volere divino, provvedeva cibo a van­taggio dei suoi confratelli e qualche volta ne moltiplicava le provviste.

La sua umiltà

10) Nessuna meraviglia pertanto se Benedetto era molto caro a tutti e se ogni classe di uomini, cioè nobili, dotti, confratelli, e superiori religiosi, chiedes­sero il suo aiuto, lo consultassero per consigli, si raccomandassero alle sue preghiere, tanto era diffusa la convinzione che egli fosse ispirato dallo Spirito divino. Per questo, la sua fama di santità si diffondeva dappertut­to fino a Napoli, a Roma, nella Spagna e nel Portogallo. Tuttavia egli, mi­te e umile di cuore, aveva un’opinione molto bassa di sé, si riteneva il più piccolo degli uomini, e diceva di essere un grandissimo peccatore. Cercava tutte le occasioni per mostrarsi agli altri degno di disprezzo. Mostrava chiaramente quanto sopportasse a malincuore gli onori, la stima e le lodi degli uomini, e, per evitarle quanto più possibile, quando andava a trovare gli ammalati o a com­piere altre opere di carità sceglieva le vie più appartate e meno frequentate. Invece non c'era cosa più gradita e gioiosa per lui che dedicarsi ai ser­vizi più umili e spregevoli del convento e questo anche quando fu no­minato superiore del convento di Palermo.

La sua prudenza e la sua obbedienza

11) I superiori della Provincia di Sicilia dei Frati Minori aveva­no tanta stima delle virtù di Benedetto e in modo particolare della sua prudenza, che, fra tanti uomini ragguar­devoli, ritennero giusto scegliere lui alla guida del convento di Palermo, nel quale la più stretta osservanza, di recente introdotta, aveva bisogno di essere sempre più essere rafforzata. Egli addusse come scusa la sua ignoranza, la sua infima condizione e molti altri pretesti suggeriti dalla sua umiltà. Ma, non essendo servito a nulla, obbligato dal voto dell'obbedienza, si sottomise in silenzio e con prontezza. Corrispose in pieno e largamente ai desideri dei superiori e portò in breve tempo a una più rigorosa disciplina i frati che gli erano stati affidati, ora con gli avvertimenti, ora con gli esempi, ora con la dolcezza e la soavità delle parole, anche in presenza di colpe che dovevano essere punite in base alla gravità e alla situazione.

La sua morte

12) Dopo tre anni, ritornato dal governo del convento alla solitudine, per parecchi anni si sforzò con ancor maggiore vigore di crescere nelle sue virtù, finché, reso consapevo­le per ispirazione divina della sua imminente fine, sopportò per trenta giorni le sofferenze della gravissima malattia con animo lieto e ben disposto, senza mai chiedere nulla di sua volontà e senza mai rifiutare nulla di ciò che gli veniva fatto prendere. Frattanto si sforzava con ogni mezzo di pregare e di contemplare le realtà divi­ne e soprattutto i crudelissimi tormenti subiti da Cristo.
Prima di ricevere l'Eucaristia, con il cingolo intorno al collo, chiese perdo­no a tutti e a ciascuno dei confratelli, e versando lacrime e manifestando anche con parole l'ardore di fede e di carità racchiuso nel suo animo, ri­cevette come viatico il santo Corpo di Cristo. Ricevuta la comu­nione, rapito in estasi, il suo volto rifulse di mirabile splendore ed emanò un odore soave. Riavutosi da questa estasi, composte le mani sul petto a forma di croce, con gli occhi rivolti al cielo, ripe­tendo spesso i dolcissimi nomi di Gesù e di Maria e le parole del salmo: "Nelle tue mani, o Signore, affido il mio spirito", volò nel seno e nell'abbraccio di Dio, che solo aveva amato in ogni circo­stanza della sua vita, il quattro aprile 1589, martedì di Pasqua, all'età di 63 anni.

Suppliche fatte dai re, dal clero e dal popolo per ottenere
la custodia del corpo del Venerabile Servo di Dio in un luogo onorifico

13) Sebbene, come egli stesso aveva predetto, pochi fosse­ro stati presenti al suo funerale, tuttavia il giorno seguente, diffu­sasi tra il popolo la notizia della sua morte, si riversò in chiesa una grande folla di persone di ogni età e condizione, animata da un tale sentimento di devozione che ognuno voleva avere qualche sa­cra reliquia e con difficoltà si riuscì a fare in modo che  il suo corpo non fosse dissotterrato.
Inoltre i benefici e i prodigi che moltissimi ottennero da Dio per intercessione di Benedetto accrebbero la fama della sua santità, già da prima profondamente radicata nel cuore di tutti, a tal punto che si diffuse non solo per tutta l'Europa, ma anche nelle terre più lontane e persino nell’ America. Perciò nel 1592, il sette maggio, il suo corpo fu dissotterrato con il permesso del Cardinale Mattei, Pr­otettore della sacra famiglia dei Frati Minori di San France­sco, e fu riposto nella sagrestia. Allora apparve un fatto straordinario: il suo corpo, che per tre anni era rimasto in un umido sepol­cro di altri, senza essere stato in alcun modo imbalsamato, si conservava integro e incorrotto ed  emanava un soavissimo odore che continuò ad emanare per lungo tempo anche in se­guito. Due anni dopo lo stesso Cardinale Mattei ordinò all'Arci­vescovo di Palermo di istruire, secondo le leggi canoniche, il processo sulle virtù e miracoli di Benedetto, processo che si concluse in un anno.
Poiché sembrava che lo stesso Dio volesse attestare la santità del suo servo con numerosi prodigi, e poiché erano state presentate alla Sede Apostolica le istanze di Filippo IV Re di Spagna e delle Due Sicilie, nonché di tutto il clero e del popolo di Palermo, la Con­gregazione dei Sacri Riti concesse che le sacre spoglie di Benedet­to fossero traslate in chiesa e riposte in un loculo di riguardo elevato da terra. La cosa fu eseguita dal cardi­nale Giannettino Doria, allora arcivescovo di Palermo il tre ottobre dell'anno 1611.

La beatificazione dello stesso Servo di Dio

14) Dato che si erano aggiunte moltissime altre attestazioni di culto pubblico e di onori tributati a lui, ed erano state appese al suo sepolcro tavole votive, immagini e statue poste sugli altari, fu istruito un nuovo processo dall’ autorità ordinaria nell'anno 1620 e poi due altri dall’autorità apostolica: l'uno a Palermo nel 1625 e l'altro nella città di San Fratello nel­l'anno successivo. In questi processi furono riportate tutte le prove dalle quali risultavano le virtù e i miracoli del servo di Dio.
Intanto il nostro predecessore Urbano VIII, di felice memoria, emanò nuovi decreti su tali processi, la cui errata interpretazione portò all’interruzione del processo del Beato Benedetto, fino a che nell'anno 1713, col consenso di Clemente XI, di pia memoria, no­stro predecessore, fu concessa la facoltà di riprenderlo. Così, dato libero corso sia a Palermo che a Ro­ma agli atti apostolici riguardanti il culto pubblico tributato a Benedetto, esaminata per due volte la questione presso Con­gregazione dei Sacri Riti, finalmente il dieci maggio 1743 fu ema­nato il decreto: si era certi sul culto pubblico tributato al Beato Be­nedetto e che era stata osservata l'eccezione prevista nei decreti del papa Urbano VIII di felice memoria, nostro predecessore. Tale pronunciamento ebbe l’approvazione del nostro predecessore Benedetto XIV, di felice memoria, il quindici maggio 1743. Questi, poco dopo, concesse alla sacra famiglia dei Minori di San Francesco e a tutto il clero della diocesi di Palermo e della città di San Fratello la facoltà di recitare l'ufficio del Bea­to Benedetto; diede inoltre la facoltà di celebrare la messa del Comune di un Con­fessore non Pontefice, con l’orazione propria già appro­vata. Infine Clemente XIII, nostro predecessore, concesse a tut­ti costoro la recita di letture proprie per il secondo notturno.

Istruzione del processo per poterlo includere nel novero dei Santi

15) Per potere iscrivere il Beato Benedetto nel numero dei san­ti, secondo la provvida disposizione della Santa Romana Chiesa, fu stabilito un esame delle sue virtù, secondo quanto disposto dalle relazioni dell'autorità ordinaria e apostolica, nelle quali erano state riferite le sue sante opere. Dopo avere ben ponderata la questio­ne, la Congregazione dei Sacri Riti si pronunciò dichiarando che le virtù del beato Benedetto erano risultate singolari e del tutto eroi­che. Il decreto fu confermato con autorità apostolica da Pio VI, di pia memoria, nostro immediato predecessore, il sedici marzo 1777. Rimaneva la questione dei miracoli. Al giudizio dei cardina­li che presiedono alla Congregazione dei Sacri Riti erano stati presentati quattro mira­coli che si dicevano compiuti da Dio per intercessione del beato Be­nedetto, dopo che dalla Congregazione dei Sacri Riti era stato aveva autorizzato il culto pubblico a lui tributato. Di questi quattro miracoli soltanto due (non se ne richiedevano di più), furono accuratamen­te esaminati nella riunione generale che si tenne il quattro aprile 1790 e furono approvati con il voto unanime dei cardinali, e lo stesso Pio VI, nostro predecessore, decretò di inserirli nel numero dei mira­coli.

Miracoli compiuti per sua intercessione

16) Il primo miracolo fu questo: Francesco Centineo Capizzi, un fanciullo di nove anni della città di San Fratello, a causa di un proiettile esploso da un fucile, aveva subito nella gola una così grave ferita che respirava attraverso la trachea perforata, o meglio profondamente squarciata, piuttosto che dalla bocca, senza che apparisse alcuna possibilità di guarigione. Ma appena una reliquia del Beato Benedetto fu posta sulla gola ferita, subito si formò una cicatrice e il ragazzo ricuperò pienamente la salute.
Il secondo miracolo fu il seguente: Filippo Scaglione, della città di San Fratello, dalla nascita fino all'età di quattordici anni soffriva di un grave infermità ai piedi, sicché con le sue forze non poteva stare in piedi, né muoversi, né tanto meno camminare, ma appe­na implorato l'aiuto del Beato Benedetto, vide dinanzi a sé un religioso dell'Ordine di San Francesco che lo invitava ad alzarsi e a camminare, perché ormai era guarito. Subito il ragazzo, convinto che quel religioso fosse Benedetto che egli aveva invocato, ubbi­dendo alle sue parole, si alzò e da allora camminò sempre spedita­mente.

Opinione di Pio VI sulla santità del Beato

17) Approvati questi miracoli, tutti i cardinali della Sacra Con­gregazione dei Riti all’unanimità dichiararono al lodato nostro predecessore Pio VI che il Beato Benedetto poteva essere annoverato tra i santi. Infine lo stesso Pio VI, nostro predecessore, dopo avere rivolto molte preghiere a Dio e dopo avere implorato l'aiuto dello Spirito Santo, il 15 agosto dello stesso anno, di­chiarò che il Beato Benedetto poteva essere iscritto nell'albo dei Santi, e ordinò di preparare e pubblicare il decreto della sua cano­nizzazione che quanto prima doveva essere celebrata.
Poiché agli antichi e ripetuti voti di moltissime persone, si sono aggiunte nuove e pressanti suppliche che tutti i cittadini della Sicilia di qual­siasi condizione sociale, e particolarmente tutta la sacra fami­glia dei Frati Minori di San Francesco ci hanno fatto pervenire, espletate tutte le pratiche che dovevano essere compiute presso la Congregazione dei Sacri Riti, anche a Noi è sembrato opportuno dare il definitivo consenso alla canonizzazione del Beato.

Preghiere per invocare il divino aiuto

18) Perciò secondo la consuetudine della Santa Romana Chie­sa, nel nostro concistoro segreto del ventitrè marzo ultimo scorso, il diletto fi­glio Giulio Maria Della Somaglia, del titolo di Santa Maria alla Minerva, Cardinale presbitero, prefetto della Congregazione dei Sacri Riti, tenne una relazione di tutti gli avvenimenti suddetti. Avendo tutti gli altri cardinali dato il loro beneplacito all'iscrizione del Beato Benedetto nell'elenco dei Santi, il sedici aprile scorso Noi con­vocammo un concistoro pubblico, nel quale il diletto figlio Belisario Cristaldi, avvocato della nostra aula concistoriale, elogiò con eloquente discorso l'eccellenza delle virtù e la santità della vita del Beato Benedetto.
Quindi, in un altro concistoro semipubblico, svoltosi alla Nostra presenza il giorno otto di questo mese – essendo stata trasmessa precedentemente a tutti quelli che dovevano esprimere il loro voto, una relazione sintetica della vita, delle virtù e dei miracoli del Beato Benedetto, ricavata con esattezza dagli atti della Sacra Congregazione dei Riti e già data alle stampe, in modo che potessero esprimere il loro voto dopo essersi ben documentati – tutti i presenti: i venerabili nostri fratel­li Cardinali, il Patriarca, gli Arcivescovi e i Vescovi, dei quali molti da Noi convocati, erano giunti a Roma dalle diocesi vicine, con unanime consenso giudicarono che il Beato Be­nedetto doveva essere iscritto nel numero dei santi. Noi dispo­nemmo che i voti di tutti costoro, ai quali ciascuno appose la propria firma, fossero raccolti e custoditi nell'archivio della San­ta Romana Chiesa; ordinammo inoltre che fossero redatti gli atti processuali. Ringraziammo solennemente Dio che si degnava, per mezzo del nostro ministero, di onorare il suo servo, e stabilimmo il giorno della sua canonizzazione, ed esortammo tutti ad aggiungere alle nostre le loro preghiere per ottenerci la grazia celeste dello Spirito Santo e a insistere con per­severanza nelle elemosine e nei digiuni affinché Dio, autore di ogni bene e Padre della luce, ci assistesse in una questione così impor­tante e guidasse le nostre decisioni.

La Canonizzazione

19) Infine, espletate esattamente tutte le pratiche prescritte dai sacri canoni e dalla consuetudine ecclesiastica, oggi, domenica della Santissima Trinità, con i nostri fratelli, i Cardinali della san­ta romana Chiesa, insieme con il Patriarcha, gli Arcivescovi e i Ve­scovi, con i prelati della Curia Romana, con  gli officiali e i membri della famiglia pontificia, insieme con il clero secolare e regolare, con il rito della solenne supplica ci siamo riuniti nella basilica vaticana del beatissimo Pie­tro, principe degli apostoli, splendidamente ornata. Qui, aderendo alla richiesta di decretare la canonizzazione, presentata una, due, tre volte dal nostro diletto figlio Innico Diego Caracciolo, cardinale  presbitero di santa Romana Chiesa, del titolo di Sant’Agostino, procuratore,  dopo avere recitato le preghiere e cantato le litanie, invocato lo Spirito creatore [Veni Creator Spiritus], perché illuminasse la nostra mente e riempisse il nostro cuore della grazia divina, a onore della santis­sima e indivisibile Trinità, a esaltazione della fede cattolica, ad ac­crescimento della religione cristiana, con l'autorità del Signore nostro Gesù Cristo, dei beati apostoli Pietro e Paolo, e no­stra, con l’aiuto divino più volte implorato, e con il consiglio e il giudizio dei cardinali, del Patriarca, degli Arcivescovi e dei Vescovi che risiedono in Roma, di­chiariamo solennemente che il Beato Benedetto da San Fratello, ricchissimo di ogni virtù e illustre per la gloria dei miracoli, deve essere defini­to santo. Lo abbiamo inserito nel canone dei Santi, insieme a Francesco Caracciolo, ad Angela Merici,  a Coletta Boilet e a Giacinta Mare­scotti, e abbiamo disposto che egli sia onorato e venerato da tutti i cristiani, stabilendo che, dovunque ci siano chiese e altari sui quali vengono offerti sacrifici a Dio, si possano edificare chiese in suo onore e si celebri la sua memoria tra i santi confessori non pontefici il quattro aprile di ogni anno.
Con la stessa autorità abbiamo concesso benevolmente in no­me del Signore l'indulgenza di sette anni e altrettante quaresime loro imposte o di penitenze da loro dovute in qualsiasi altro modo, a tutti i cristiani sinceramente pentiti, confessati e comunicati che ogni anno abbiano visitato, nella stessa festività, il sepolcro nel quale riposa il suo corpo.
Portate a termine queste cose, abbiamo innalzato a Dio l'inno di lode e di confessione per il rendimento di grazie [Te Deum], e abbiamo celebrato il sacrificio sull'altare maggiore in me­moria dello stesso San Benedetto e degli altri quattro santi. Abbia­mo concessa anche l'indulgenza plenaria nella forma consueta della Chiesa a tutti i fedeli riuniti nella celebrazione di così gran­de solennità.
Poiché vediamo che ci viene offerta dal cielo la protezione di San Benedetto, è giusto che umilmente rendiamo grazie a Dio, supplicandolo che, per i meriti e per l'intercessione del suo servo, ci liberi dalle angustie e dalle disgrazie di questa vita mor­tale, e in questo modo si degni di riempirci della sua grazia celeste, con la quale possiamo in futuro meritare l'eterna felicità dei santi.

Spedizione delle Lettere e quale fiducia devono avere coloro che le ricevono

20) Avendoci poi chiesto lo stesso cardinale procuratore, degno di tutto il rispetto, di decretare che fossero valide in perpetuo le nostre lettere apostoliche su tutti gli atti sopra detti, Noi, acconsentendo alla giusta richiesta, abbiamo voluto e ordinato che fosse data alle stampe e resa pubblica questa nostra Lettera, con la quale confermiamo e ancora una volta decretiamo tutte e singole le cose sopra dette; disponendo che le traduzioni o copie di essa anche stampate, purché sottoscritte da un pubblico notaio e fornite del sigillo di qualche persona ricono­sciuta nella dignità ecclesiastica, quando saranno presentate o mostrate, abbiano la stessa validità di que­sta stessa nostra Lettera.

Sanzione penale

21) A nessuno sia lecito alterare o con temeraria presunzione opporsi a questa pagina della nostra definizione, decreto, postilla, mandato, statuto, relazione e volontà; se qualcuno avrà l’ardire di tentarlo, sappia che incorrerà nell'ira di Dio Onnipoten­te e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo.
Dato a Roma in San Pietro, il ventiquattro maggio dell'anno del Signore 1807, ottavo del Nostro Pontificato.

+ Io PIO vescovo della Chiesa Cattolica L.+S.
+ Io L. Vescovo Portuense e di S. Rufina Card. Antonello penitenzie­re maggiore  
+ Io A. Vescovo di Albano Card. Valenti Gonzaga
+ Io A. Vescovo Prenestino Card. Mattheio
+ Io I. Vescovo Tuscolano Card. D’Auria Pamphily
+ lo S. Tit. di Lorenzo in Lucina primo presb. Card. Carafa
+ Io A. Tit. di S. Prassede presb. Card. Dugnani
+ Io H. Tit. dei SS. Nereo ed Achille presb. Card. Vincenti.
+ Io F. Tit. di S.M. in Trastevere presb. Card. Pignatelli
+ Io A. Tit. SS. Giovanni e Paolo presb. Card. Roverella
+Io I.M. Tit. di S. Maria sopra Minerva presb. Card. De Somalia
+ Io I.D. Tit. di S. Agostino presb. Card. Caracciolo
+ Io M. Tit. di S. Maria in Via presb. Card. De Petro
+ io C. Tit. di S. Susanna alle terme presb. Card. Crivelli
+Io S.M. Tit. di S. Anastasia presb. Card. Saluzzo
+Io B. Tit. S. Silvestro in Capite presb. Card. Pacca.
+ io PH. Tit. di S. Alessio presb. Card. Callerati Scotti
+ Io L. Tit. di S. Pudenziana presb. Card. Litta
+ Io PH. Tit. di S. Maria degli Angeli presb. Card. Casoni
+ Io H. Tit. di S. Pietro in Vincoli presb. Card. Della Porta
Io J. tit. S. Tommaso ai Parioli, presb. card. Gabrielli
+ Io I. Tit. di S. Lorenzo in Panisperna presb. Card. Mastrozzi
+ Io S. Tit. di S. Bartolomeo all'isola presb. Card. Galleffi
+ Io A. Tit. di S. Maria in via Lata primo dei Cardinali diaconi Doria
+ Io R. Tit. di S. Maria ad Martires diacono Card. Braschio degli One­sti
+ Io Ph. Tit. di S. Eustachio diac. Card. Carandini
+ Io H. Tit. di S. Agata alla Suburra diac. Card. Consalvi
+ Io C. Tit. di S.M. In Portici diac. Card. Erskine
+ Io A. Tit. di S. Adriano diac. Card. Gazzoli

Per il Datario
R. Card. Braschio degli Onesti
                                                     Visto
Dalla Curia
C. Manassei
F. Lavizzario

L + S.
Registrato presso la segreteria dei brevi.

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